16 agosto 2014

Trans d'Havet, making of

Ancora a corto di prodezze/nefandezze orientistiche da narrare, dedico un altro post alla TdH. Avviso subito che per le persone normali sarà una palla mostruosa. È rivolto solo a me (perché al mio confronto la Dori di Nemo ha una memoria di elefante e fra due mesi non mi ricorderò più come avevo preparato la gara di quest'anno e come l'avevo corsa, e dato che non sono andato malaccio, sarebbe un peccato) e a quelli che stessero cercando in internet qualcosa del tipo "preparare un ultra trail".

Dunque.

         

Da novembre alla gara, di soli "lunghissimi", ho corso per circa 73 ore, 450 km e 25.000 metri di dislivello. Con il senno di poi, credo siano stati sufficienti. Anche perché sono stati conditi da svariati altri allenamenti più corti e veloci, dove la salita non me la sono mai fatta mancare. Paganella, Costalta, Carega, Lagorai, Penegal, e qualche giro più basso quando la neve non lo permetteva, almeno una volta al mese mi sono fatto un lunghissimo sopra le 5 ore. Ed in realtà allenarmi per la TdH è stata la scusa per farmi dei gran bei giri, che senza lo stimolo dell'obiettivo agonistico forse non mi avrebbero chiamato abbastanza per uscire dal letto un po' prima e prepararmi lo zainetto la sera prima.

Temevo che avrei pagato il fatto di essermi concesso i 26 km, ma con 2600 metri di dislivello, corsi una settimana prima attorno al Sasso Lungo e al Sasso Piatto (un posto fantastico!) ma alla luce di come mi sentivo in gara, direi proprio che non sia stato così. Probabilmente, oltre all'effetto dopante della bellezza del posto, il fatto di aver corso ad andatura piuttosto blanda sommato a tutti gli allenamenti precedenti, lo ha reso un lunghetto di scarico, invece delle 4 ore spaccagambe che sarebbero state qualche anno fa.

La settimana prima della gara mi sono limitato a 40' di lento in piano e 60' di lento con un po' di salita e discesa, di cui il secondo due giorni prima della gara. E quel giorno le gambe non potevo sentirle meglio. Sia all'inizio, sia, soprattutto, alla "fine".

Prima di partire mi preoccupava abbastanza la distanza. Nell'ultimo lunghissimo di preparazione, al km 35 con 3.500 di dislivello ero bollito anzichenò. Ne ho corsi altri 20 (ma tutti in discesa...) solo per ostinazione, e perché in cima al Manghen non passavano mezzi pubblici per riportarmi a casa (e l'autostop nelle condizioni in cui ero mi sembrava improbabile). Confidavo nell'effetto gara, ma non ero sicuro che bastasse. In gara però cambia davvero tutto, e a parità di km e dislivello percorsi, le condizioni fisiche erano mille volte migliori, ed ero anche andato molto più veloce. Sarà l'eccitazione della gara, sarà il correre di notte, sarà il correre con altri, sarà altro che non riesco a mettere a fuoco, comunque, fra l'allenamento e la gara, un abisso.

Uno dei miei crucci principali era l'alimentazione, ma sono andato un po' a caso. Grandi mangiate di pasta tutta la settimana (come sempre, peraltro), e, quel giorno, una pizza e mezzo alle 19.30, mezzo panino al grana (la mia barretta energetica universale...) alle 22.30, l'altra metà alle 23.30, un'altra in gara un paio d'ore dopo la partenza, e un altro quarto dopo 6 ore o giù di lì, che però non mi andava proprio giù. Mi sembrava il caso di accumulare ancora un po' di calorie per la parte finale, ma il boccone mi rimaneva in bocca per minuti e non voleva saperne di farsi inghiottire. In gara, oltre ai panini, un sacco di acqua, e 3 "blocchetti" alla goiaba made in Venezuela, ai ristori liquidi coca+integratori, e a quelli solidi datteri, qualche pezzo di banana, e già non mi ricordo più cos'altro, ma comunque poca roba.

Quanto alla "condotta di gara", scoperto che partire a mezzanotte era molto più un problema pensarlo che farlo, ho iniziato molto molto prudente. Nelle primissime file al via, prima che finisse il paio di km in giro per Valdagno, mi avevano superato in tantissimi. Ho preso con calma anche la salita al Summano, correndo solo dove la pendenza non appesantiva le gambe (tre quarti abbondanti del percorso), e procedendo a camminata veloce negli altri tratti. Dopo la discesa prudente (e non si poteva far altro, dato che era scivolosissima...) dal Summano, mi sono fatto prendere un po' la mano nel tratto successivo, ma quando si è tornati a salire sul serio ho ripreso un ritmo disciplinato, che mi dava l'impressione di non affaticarmi. Ogni volta che ho potuto mi sono accodato a qualcuno, perché in due si corre decisamente meglio. Ma devo dire che la noia non è mai stata un problema, perché questa gara è talmente bella e varia, che neanche per un minuto ho rimpianto di non essermi portato il lettore mp3, e neanche una volta mi è capitato di chiedermi quanto mancasse alla fine. E questo nonostante non abbia praticamente mai visto nulla del panorama, dato che prima era notte e poi c'erano nebbia e nuvole basse.

I bastoncini mi sono stati di grandissimo aiuto, non solo sul Carega (dove non sono mai arrivato...) come pensavo. Fino alla salita dopo il Summano li ho tenuti sullo zaino, ma poi mi hanno fatto proprio comodo, almeno dove la pendenza era impegnativa (cioè spesso).

Le discese, forse per via del buio, mi sono sembrate interminabili, mentre è stata l'insipienza che mi ha fatto arrivare impreparato alle famose 52 gallerie. Ma forse è stato meglio non sapere prima quanto la strada andava in su in quel tratto, perché andava su proprio tanto, e spesso, soprattutto in galleria, in modo a dir poco brutale. È stato solo verso le ultime (a proposito, contarle serve a pochissimo per capire quanto manca, dato che alcune sono cortissime e altre infinite) che ho provato a ricominciare a correre nei pianetti. Con risultati molto migliori di quanto mi sarei aspettato quando ho pensato di farlo. Fra le gallerie mi sono anche messo la ventina (che poi ho lungamente benedetto quale investimento migliore del secolo nelle 3 ore successive) e ho perso i contatti con gli ultimi "vicini", almeno fuori dai ristori. Ho staccato il trentino con cui ero, e mi hanno passato due (apparentemente freschi come le rose) che poi non ho più visto.

Anche la discesa dal rifugio Papa, prima sulla maestosa Strada degli Eroi (di cui ovviamente non vedevo più dei 10 metri davanti a me, la foto a lato è "di repertorio") e poi nei sentieri nel bosco, me la aspettavo più corta. E poi lì già correvo sotto il diluvio conclamato. Ancora bello tonico, ma anche molto desideroso di avere delle scarpe con un po' di grip in più.

Finita la discesa e piluccato qualcosa al ristoro (dove quello arrivato prima di me ha preso un piatto di minestra..) mi sono avviato, con passo decisamente più prudente rispetto all'anno scorso, su per la salita per la "Selletta Nord ovest". Salita durante la quale ho fatto tutti i pensieri già abbondantemente esposti nel post precedente e che ha preceduto di un'oretta lo stop per sospensione della gara, quando ero attorno al 50esimo km. A scanso di equivoci, lo stop era l'unica cosa sensata da fare, e condivido pienamente quanto scritto dal Direttore Maximo in proposito ("Dall'altra parte della transenna" sulla pagina FB della gara).

La mia attrezzatura, che corrispondeva a quella obbligatoria, era costituita da una robusta ventina anti vento e anti pioggia (ma "anti" sul serio!), le racchette, guanti e berretto, fuseaux lunghi e termica a manica lunga (tornati molto utili dopo lo stop della gara, mentre aspettavamo il recupero a Campo Grosso), panino al grana, frontale, cellulare (morto per non essere stato messo in sacchetto sufficientemente stagno...), fischietto. Il tutto stipato ottimamente nello zainetto Olmo da 5 litri, corredato anche di due borracce da cui ho continuato a bere (e a riempire ai ristori).

Come spiega bene l'altimetria qui sotto, ci sono arrivato davvero molto vicino, e, come detto sempre nel post precedente, le condizioni in cui ci sono arrivato mi fanno pensare che sarei arrivato bene in fondo. Peccato che i tempi di gara non siano confrontabili con quelli dell'anno prima. Al controllo di Passo Campogrosso, dove io sono passato in 7h55', quello che era in testa quest'anno (Giulio Ornati) aveva un tempo di 6h3', contro il 6h38' di Killian dello scorso anno, cosa che mi fa pensare che ci fosse qualche differenza sostanziale, sia perché mezzora a Killian non la dà neanche un missile aria aria, sia perché le condizioni di gara erano sicuramente molto più lente quest'anno.

Evidentemente, come mi è già successo con il Piz Boè alla Dolomites Sky Race, mi ci vorrà un terzo tentativo alla Trans d'Havet per venire a capo delle Piccole Dolomiti. Dato però che manca un sacco di tempo, mi sto chiedendo se nel frattempo non sia il caso di fare un secondo tentativo di vedere lo sky nella Maddalene Sky Marathon di domenica prossima, dopo l'acqua e le nuvole dell'anno scorso (anche se mia moglie dice che dato che quando corro io piove sempre, dovrebbero impedirmi di iscrivermi alle gare di corsa in montagna).


4 agosto 2014

JTT Race a Lavarone

Nel mentre che sono in ferie in bici, lascio alle magie dei post programmati due parole sulla gara ormai "vecchia" di Lavarone, la JTT 2014. Una bella gara, su una bella carta, che io non ho corso tanto bene, ma che mi ha divertito parecchio.

Rispetto alle ultime uscite dissennate, ho corretto qualcosina, e va bene così. In particolare alla 1, ho perso un sacco di minuti, ma l'ho fatto riperdendomi 3 volte dopo essere tornato ad un punto noto, invece che vagando a caso per tutto il tempo. Certo, un po' mona a non capire tutte le volte cosa facevo, ma molto meglio così. Credo che il problema sia stato che per qualche ragione sembrava (almeno a me) che dopo il semiaperto con muretto si continuasse a salire, mentre si scendeva. Solo che non mi accorgevo che il problema era quello.
In ogni caso, in molti momenti mi è sembrato di prendere in mano una carta per la prima volta, ma pazienza. Dalla 1 sono arrivato alla 3 prima ai accorgermi della malefatta, alla 5 ho vagato un bel po' fra rocce non irresistibili, dalla 19 me ne stavo andando beato alla 24 e dalla 22 invece di uscire in curva sulla strada me ne sono andato in cima al monte.

Però divertente.
Buone ferie (a me).